Parlando di Storytelling, non si sa come, ma il suo nome esce sempre fuori. Cristiano Carriero, Autore di Content Marketing per Hoepli, è una delle persone più istrioniche che conosca. Lui non c’è storia che non racconti. Che si parli di calcio o che si parli di food è sempre dietro le quinte come voce narrante dei brand.
Quando penso alla parola storytelling mi vengono in mente due immagini. La prima è una foto di un ragazzo scalzo con una chitarra che cammina lungo una strada di Bari, l’altra è l’immagine di un giovane giocatore che portandosi via la pallo di tacco con uno scatto sulla fascia fa un dribbling tra due giocatori e realizza una rete incredibile al suo esordio in campionato. Entrambi sono di Bari. In questi anni, qual è il colpo di tacco che ti ha permesso di diventare un fuoriclasse dello storytelling?
Bellissimo incipit. Quando mi chiesero, qualche tempo fa, di scrivere una canzone per Bari, usai le stesse immagini, e una frase un po’ forte: “Bari è troppo pigra per farsi una canzone, ha un migliaio di talenti ma non ha un vero campione”. Può sembrare un’immagine negativa, in realtà con il tempo ho imparato che non c’è bisogno di essere campioni a tutti i costi, che non tutti nascono Michael Jordan, anche se nei corsi di motivazione tendono a fartelo credere. Il colpo di tacco di Cassano è una promessa di qualcosa che poi non accade o accade solo in parte. Io non sono un fuoriclasse, sono una persona con un discreto talento e che si applica tutti i giorni per migliorarsi. In questo sono molto diverso da Cassano, perché io so di non avere una predisposizione naturale al talento. Ma se devo scegliere un momento decisivo della mia storia professionale, dico che un punto di svolta importante è stato l’incontro professionale e umano con Luca Conti. Siamo diventati grandi amici e con lui mi sono avvicinato in modo importante al web e poi allo storytelling, grazie ad un libro che ho trovato a casa sua, The Storytelling Animal.
Un po’ di tempo fa ho avuto l’occasione di partecipare ad Oevent, un progetto in cui veniva presentata una pubblicazione cartacea chiamata Ossigeno. La cosa che mi ha sorpreso è che, differentemente da tanti altri progetti, l’azienda si è messa da parte e ha deciso di mettere al primo posto la vision aziendale. Un bell’esempio di storytelling aziendale.
Casualità o scelta ben definita?
È stata una scelta ponderata assieme. Coraggiosa. Innovativa. Ma il merito in questi casi è sempre di imprenditori visionari come Mario Zani di Euro Company. Uno che ha rinunciato al 40% del fatturato aziendale per togliere dal mercato prodotti con troppo sale. Ossigeno è un’idea sua, poi i progetti di storytelling fatti con l’azienda sono andati tutti in quella direzione.
Ogni storia che si rispetti ha un narratore, un protagonista e un ascoltatore. Tu dove ti senti più a tuo agio e quale di questi ruoli non è nelle tue corde?
Io sono un buon ascoltare e un discreto narratore. Non mi sento un protagonista. Ma amo mettere insieme i pezzi delle storie.
La storia si ripete. Prima parlavano tutti di social 2.0, poi di startup oggi di storytelling. In tutti e tre i casi è sempre difficile riconoscere un professionista da un fuffologo. Come si può evitare una collaborazione con un brutto epilogo?
È una domanda scomoda, perché ti mette sempre nella condizione di dire che tu sei quello bravo e gli altri sono fuffa. Proverò a non cadere in questo tranello dicendo che ogni progetto ha bisogno del suo narratore. Magari il mio tono di voce, il mio stile, il mio modo di scegliere le risorse e coordinarle può essere adatto a progetti come quello di Granoro, Euro Company, Lavazza, Ikea e meno per altri. Agli imprenditori direi di fare due chiacchiere con chi deve raccontare le loro storie. Perché è vero che le storie nascono da loro, ma poi è qualcun altro a raccontarle.
Sicuramente qualcuno ti avrà già fatto questa domanda, ma non posso esimermi. Qual è il tuo segreto per raccontare in modo efficace un brand con lo storytelling?
Ascoltare attentamente gli interlocutori aziendali. Poi scegliere i valori e il dettaglio vincente della narrazione. Il dettaglio è fondamentale perché è da lì che parte tutta la narrazione, uno sviluppo molto più simile alla fiction o al romanzo che alla brochure.
Anno 2037. Siamo arrivati allo storytelling 7.0. L’evoluzione delle storie fatte di parole ed emozioni vengono trasmesse solo da mentalisti abili a narrare racconti in forma di illusione che generano messaggi subliminali a pagamento all’interno delle stories mentali. Ti vedi narratore mentalista, o meglio vivere di illusioni?
No, mentalista non mi ci vedo. Nel 2037 conto di vedermi a capo di un gruppo di ragazzi bravissimi a cui insegnare le mie tecniche di narrazione. Conto di essere un riferimento per chi vorrà fare questo mestiere con la volontà di dare lavoro a tanti giovani, in questo campo. È questo il mio obiettivo a lungo termine.